lunedì 1 dicembre 2008

L'angolo di Letizia...Liber Paradisus

Ricordo che quando ero bambina, avrò avuto 8 o 9 anni al massimo, prese un certo piede l’ipotesi alquanto strampalata di intitolare le strade a noti marchi commerciali o prodotti di largo consumo, con l’intento, in tal modo, di ottenere delle entrate economiche che permettessero di mantenere il manto stradale e l’eventuale verde pubblico al contorno in condizioni eccellenti, coprendo interamente i costi di manutenzione. Ora, chiariamo subito che a me, paffuta e riccioluta bimbetta cresciuta a pastasciutta e merendine, l’idea di poter un giorno abitare, che so, in via Tegolino, piaceva un sacco. Si capì però piuttosto in fretta che un indirizzo del tipo Via Simmenthal o Corso Dixan sarebbe stato di non poco imbarazzo per taluni, specie con i problemi che sarebbero derivati dal cambiamento di sponsor, e quindi l’idea fu rapidamente accantonata.

Questo non frenò comunque la fantasia degli addetti ai lavori (di toponomastica), ed alcuni anni fa fiorirono, per così dire, rotonde e svincoli intitolati a divi del cinema, cantanti e sportivi; c’è anche la proposta di intitolare una strada a Mickey Mouse, vi giuro che è vero.

E poi c’è Piazza Liber Paradisus. Che innanzitutto, con tutte quelle esse, sicuramente non viene incontro alla pronuncia ruspante dei tre quarti dei bolognesi. E già mi immagino l’intasamento telefonico delle centraline dei taxi, per il complicato spelling necessario alla comprensione del nome: “Radiotaxi? Mi manda un’auto a Piazza del Paradiso Libero?” “Come dice, scusi?” “Una macchina. Un’auto a Piazza… Libreparissus!” “Cosa ha detto? Piazza Libero Parisio?” “No, Piazza Libroparisso. La piazza del nuovo Comune, il palazzo tutto in vetro insomma!” “Ah, ok… Monza 9 fra tre minuti, buona giornata!”.

In realtà, accantonato il tono sarcastico e provocatorio con cui ho volutamente introdotto l’argomento, il fatto che la stragrande maggioranza dei libri di storia destinati alla scuola non citi quest’opera è una lacuna non di poco conto.

Il Liber Paradisus a cui è intitolata la Piazza della nuova sede del Comune, al quartiere Navile, è un documento risalente al 1257 con il quale Bologna, prima al mondo, sancì l’abolizione dei Servi della Gleba (ultima classe della società, di feudale memoria), e la liberazione incondizionata di tutti coloro che vi appartenevano, senza distinzione di sesso o di età. Tale liberazione, ad onor del vero, costò una bella somma alle casse comunali, perché i servi furono pagati ai rispettivi padroni al corrente prezzo di mercato, che non prevedeva differenze fra uomini e donne ma solo fra maggiorenni o minorenni (a quel tempo la maggiore età si raggiungeva a 14 anni), ed il riscatto ebbe il prezzo complessivo di 54.014 lire bolognesi. Al di là del gesto, per così dire, umanitario, vanno tenuti presenti gli interessi economici di tale mossa: più cittadini liberi, e stiamo parlando di quasi seimila persone, significavano innanzitutto un maggior introito in termini di tasse. Inoltre, già allora, con circa sei secoli e mezzo di anticipo sulle teorie Tayloriste della rivoluzione industriale, si era capito quanto potesse aumentare la produttività di un individuo libero rispetto a quella di un uomo tenuto in uno stato prossimo a quello della schiavitù.

La stesura del Liber Paradisus, in latino, fu affidata a quattro notai, uno per ciascuna delle circoscrizioni in cui era diviso il territorio comunale, e riporta l’elenco completo, suddiviso per quartiere, dei nomi dei servi affrancati, 5.855 nel complesso, e dei 379 proprietari a cui appartenevano. Il titolo, chiamiamolo così, di tale volume, trae ispirazione dall’incipit del prologo del medesimo, attribuito a Rolandino de’ Passeggeri, che racconta di come Dio in Paradiso avesse creato, in principio, l’uomo assolutamente e completamente libero.

Detto per inciso, Rolandino de’ Passeggeri fu un personaggio tutt’altro che marginale nella vita della Bologna di epoca comunale: nominato Segretario del Comune di Bologna nel 1246, segnò per circa mezzo secolo tutte le vicende politiche della città. E, personalmente, e che nessuno me ne voglia male, mi fa venire in mente il Bossi dei primi giorni dopo la vittoria elettorale dello scorso aprile, il Bossi dei trecentomila uomini sempre pronti con i fucili caldi: a Rolandino è infatti attribuita la risposta secca che i Bolognesi diedero all’imperatore Federico II dopo la battaglia di Fossalta: “se l’imperatore Federico verrà coi suoi eserciti, troverà i bolognesi pronti con le spade in pugno per resistere come leoni”.

Il volume, recentemente restaurato, oltreché interamente fruibile in formato digitale, è conservato all’Archivio di Stato di Bologna, in Piazza de’ Celestini.


Letizia Scirè